Un genio della Scienza e un grandissimo comunicatore. Questo era il fisico britannico Stephen Hawking, morto oggi nella sua casa di Cambridge. Autore di scoperte fondamentali per l’astrofisica moderna, lo scienziato è stato anche un esempio per la sua lotta contro la malattia. Quando aveva appena 21 anni, infatti, gli fu diagnosticata una forma di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), che dagli anni Ottanta l’ha costretto all’immobilità, non impedendogli però di continuare le proprie ricerche.
Nato a Oxford l’8 gennaio 1942, Stephen Hawking aveva intrapreso gli studi universitari presso il famoso ateneo locale. Tuttavia era stato nell’università storicamente rivale, Cambridge, che aveva conseguito il dottorato in Fisica Teorica e Cosmologia e aveva portato avanti le proprie ricerche. Ottenendo nel 1979 la cattedra lucasiana di Matematica Applicata e Fisica Teorica, la più importante dell’ateneo, che dal 1669 al 1702 era stata di Isaac Newton.
Le ricerche di Stephen Hawking
Hawking ha dedicato tutta la propria vita allo studio delle leggi dell’universo. Tra i contributi più importanti dati alla Scienza c’è lo studio sui buchi neri. Partendo dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein, assieme al collega di Oxford Roger Penrose, aveva dimostrato che i buchi neri – singolarità gravitazionali nello spazio-tempo – sono una caratteristica generale e non occasionale della relatività generale. In questo modo era stato provato che l’universo deve aver avuto origine nel Big Bang, una singolarità in cui le leggi stesse della relatività generale cessano di essere valide per via degli effetti quantistici.
Insieme a James Bardeen e Brandon Carter formulò quattro leggi della termodinamica dei buchi neri, in analogia con la termodinamica classica. A partire da ciò, nel 1974 Stephen Hawking dimostrò che i buchi neri irradiano, grazie ad un fenomeno quantistico, particelle subatomiche. Le caratteristiche termiche di questa radiazione, nota come radiazione di Hawking, dovrebbero portare alla progressiva diminuzione di massa del buco nero.
A partire dal 1983 in collaborazione col collega James Hartle propose un nuovo modello cosmologico sull’origine dell’universo. La teoria è nota come stato di Hartle-Hawking o teoria dello stato senza confini.
La malattia e la fama
Stephen Hawking è riuscito a portare avanti i propri studi e le proprie ricerche nonostante la terribile malattia che lo colpì fin da giovanissimo, limitandone pesantemente la mobilità. Aveva appena 21 anni quando gli fu diagnosticato un tipo di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), che lo costrinse presto alla sedia a rotelle. La malattia neurodegenerativa progressiva nel tempo lo obbligò anche all’uso di una sofisticata strumentazione elettronica per comunicare.
La malattia non gli impedì nemmeno di sposarsi – due volte – e avere dei figli. Grazie a una straordinaria vitalità, a un grande umorismo e a una lodevole autoironia, Stephen Hawking è riuscito a raggiungere una notorietà inaspettata per uno scienziato del suo campo. Nel tempo, grazie alle sue grandi doti di comunicatore, è riuscito a diventare una vera icona pop.
Il suo “Breve storia del tempo”, libro nel quale ha divulgato le proprie teorie rendendole comprensibili per il grande pubblico, è diventato un best seller mondiale da 25 milioni di copie vendute. Così come seguitissima è stata la serie televisiva della BBC “Stephen Hawking Universe”, andata in onda tra il 1993 e il 1996. Ma il grande pubblico ha imparato a conoscerlo e amarlo soprattutto grazie alle sue apparizioni in “Star Trek”, “The Big Bang Theory” e “I Simpson”. La vita dello scienziato nel 2014 è diventata anche un film di successo: “La Teoria del Tutto”. Grazie alla pellicola Eddie Redmayne, che interpretava proprio Stephen Hawking, è stato premiato con l’Oscar come miglior attore protagonista.