Il numero chiuso non è una moda, come a tutta prima potrebbe sembrare. I corsi ad accesso programmato proliferano sempre più e non (o, per lo meno, non solo) perché i test di ammissione, essendo a pagamento, consentono alle università di fare cassa. Il vero motivo che spinge un numero sempre crescente di atenei a prevedere il numero chiuso per tutti o quasi i percorsi di studio è legato agli organici del personale docente. Dopo anni di tagli e blocco del turnover il numero dei professori ordinari e associati è sempre più basso. Così in molti casi diventa difficile riuscire a rispettare il rapporto tra numero di docenti e studenti stabilito come condicio sine qua non affinché i corsi di laurea possano ottenere l’accreditamento.
Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere la decisione della Statale di Milano di introdurre il numero chiuso anche per i corsi umanistici. Ma la scelta dell’ateneo meneghino non è isolata. Il rischio che si potesse arrivare a una situazione del genere era stato evidenziato da tempo dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN), che aveva messo in guardia rispetto alla possibilità che ritoccare al rialzo il numero minimo di docenti necessari per l’accreditamento di ciascun corso si trasformasse in un’arma a doppio taglio.
Un’idea in teoria buona, è diventata all’atto pratico un grande problema, perché il contesto nel quale è andata a inserirsi era già in crisi. “Chi può non essere d’accordo ad aumentare il rapporto docenti/studenti? Significa migliorare la qualità della didattica,” ha spiegato Marco Abate, coordinatore della commissione didattica del CUN, “ma se i docenti mancano, ecco che la stessa misura si trasforma in un guaio.”
Per avere l’autorizzazione dal MIUR a far partire un corso di laurea sono necessari almeno 9 docenti di ruolo, se esso è di primo livello, oppure 6, se si tratta di un percorso magistrale. Oltre un certo numero di iscritti, tuttavia, la quota di docenti deve aumentare in proporzione. Un bel problema, visto che nell’ultimo decennio sono scomparsi circa 10mila professori ordinari e associati. Nonostante il drastico calo del numero degli studenti dei nostri atenei, il corpo docente non è sufficiente e il numero chiuso è spesso l’unica strada da percorrere per evitare di dover sottoporre l’offerta formativa a una robusta cura dimagrante.
Una pezza, per la verità, aveva tentato di mettercela l’ex ministro Stefania Giannini. La quale due anni fa aveva emanato una circolare che autorizzava a includere nel calcolo anche una percentuale più elevata di docenti precari. Ma si tratta di un pannicello caldo, che non è in grado di risolvere una questione molto più complessa. Il problema, infatti, non è ritoccare i criteri per l’accreditamento, bensì prevedere un piano di assunzioni che consenta di ripristinare la sostenibilità dell’offerta formativa.
In attesa di decisioni dall’alto, ai rettori non resta che tentare di arrangiarsi con quello che hanno. E per i corsi dell’area umanistica e sociale, quelli con il maggior numero di studenti, la soluzione più facile è introdurre il numero chiuso.