Solidarietà tra donne? Nemmeno a parlarne. Anzi, è esattamente il contrario. Se nelle commissioni dei concorsi universitari ci sono membri di sesso femminile, le candidate sono penalizzate. Il dato emerge da una ricerca condotta dalle università di Pisa e di Helsinki, che sarà pubblicata ad aprile su The American Economic Review. Lo studio ha analizzato i concorsi per la scelta dei professori associati e ordinari, scoprendo che la presenza di donne tra i commissari coincide con minori chance per le candidate di vincere tali procedure di selezione.
Sotto la lente d’ingrandimento di Mauro Sylos Labini del dipartimento di scienze politiche dell’Università di Pisa e di Manuel Bagues e Natalia Zinovyeva dell’Università Aalto di Helsinki sono finiti il concorso svoltosi in Italia nel 2012 e i due indetti in Spagna nel 2002 e nel 2006. Ciò che è stato rilevato dai ricercatori è che in Italia le donne hanno 1,8 punti percentuali in meno di probabilità rispetto agli uomini di ottenere l’abilitazione scientifica nazionale per ogni commissario di sesso femminile presente. In generale, le chance di promozione sono comunque inferiori per le donne di circa 1,5 punti percentuali, ma tale forbice si allarga ulteriormente in caso di presenza di una commissione con membri di entrambi i sessi.
Secondo i ricercatori, il motivo sarebbe da ricercare nel “diverso metro di giudizio adottato complessivamente da tutta la commissione quando include commissari di entrambi i generi”. In proposito Sylos Labini sottolinea la possibilità che “in assenza di donne i commissari sentano l’obbligo morale di esprimere giudizi più favorevoli (o forse meno discriminatori) nei confronti delle candidate, mentre la presenza di colleghe in commissione fa venir meno questo effetto”.
I risultati di questa ricerca sono, tuttavia, controversi. Nel 2015 un altro studio era giunto a conclusioni diametralmente opposte, sottolineando come le possibilità di successo per le donne aumentassero, se in commissione vi erano membri di sesso femminile e aveva invocato, pertanto, l’introduzione di quote di genere nelle commissioni per garantire pari opportunità di carriera alle ricercatrici. Sylos Labini, tuttavia, è convinto che le cose stiano esattamente all’inverso e che, per lo meno in ambito accademico, le quote rosa non siano una buona idea. “Secondo le nostre stime,” ha chiosato, “quote di genere del 40 per cento impedirebbero a circa 500 ricercatrici di ottenere l’abilitazione”.
Vorrei far notare che la “solidarietà fra donne” non è affatto il tema della nostra ricerca. Inoltre gli effetti che troviamo dipendono dal fatto che tutta la commissione (e in particolare gli uomini) diventano più severi con le candidate quando c’è una donna in commissione. Maggiori dettagli:
http://www.manuelbagues.com/BSZ_gender.pdf
Mi scuso se il mio articolo ha dato l’impressione di travisare il tema della ricerca. Credo, tuttavia, che dal corpo del testo si evinca abbastanza bene quale sia la questione centrale. L’attacco del pezzo vuole avere un tono accattivante – secondo un comune espediente giornalistico – e fa riferimento alla solidarietà tra donne per catturare l’attenzione del lettore. Nel resto dell’articolo, infatti, non vi sono altri richiami alla cosa. Essendo un quotidiano online che si occupa di università in generale, non una rivista scientifica, penso si possa perdonare il ricorso a tale tipo di tecniche.