Una stretta che rischia di diventare mortale per molti atenei. L’ultimo giorno del proprio mandato da ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini, oltre all’istituzione delle lauree professionalizzanti, ha anche stabilito la riforma dei criteri per l’accreditamento delle università telematiche.
Il 12 dicembre scorso, a poche ore dal turn over con Valeria Fedeli, la Giannini ha firmato il decreto che inasprisce le norme che gli atenei a distanza debbono ottemperare per poter ottenere dal MIUR la licenza a rilasciare titoli di studio validi. I nuovi criteri si applicheranno a partire dall’anno accademico 2017-2018 e la prospettiva spaventa non poco i rettori delle università online.
Tra i punti più critici del decreto sulle nuove norme per l’accreditamento delle università telematiche c’è l’aumento della quota di docenti a tempo indeterminato per ciascun corso di laurea rispetto al numero di iscritti. In media, si prevede che si debbano avere almeno 6 professori ordinari ogni 150 studenti. Il che – contestano gli atenei interessati – comporterebbe spese maggiori degli incassi derivanti dal pagamento delle tasse degli iscritti.
Con una media di 2mila euro di retta all’anno, infatti, ogni 150 studenti le telematiche avrebbero un ricavo di 300mila euro, a fronte di un esborso in stipendi per i professori calcolato in circa 360mila euro annui (ipotizzando una retribuzione media annua di 60mila euro a docente). Uno sbilancio che porterebbe gli atenei che operano esclusivamente in modalità a distanza sull’orlo del fallimento.
I nuovi criteri per l’accreditamento delle università telematiche, temono gli interessati, potrebbero asfissiare gli atenei italiani, aprendo autostrade ai concorrenti stranieri. I quali possono erogare i propri corsi anche nel nostro Paese, ma avendo sede all’estero non sarebbero tenuti a rispettare le norme per il reclutamento nostrane, bensì quelle – magari meno stringenti – di altri paesi.
Rimane da capire, tuttavia, se i competitor esteri potrebbero conferire titoli validi in Italia oppure lauree riconosciute solo negli stati nei quali hanno la propria sede. Se fossero atenei europei, tuttavia, la validità dei titoli non potrebbe essere messa in discussione. Al massimo la si potrebbe subordinare a una richiesta di riconoscimento da parte del MIUR.