Sono 2 milioni e mezzo, cioè il 21 per cento della popolazione nazionale nella fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni, e non fanno nulla. Sono i NEET italiani e sono così tanti che l’Indagine WeWorld 2015 ci assegna il triste primato di paese europeo che ne conta il tasso più elevato.
Basandosi sui dati emersi dal rapporto Istat del 2014, l’associazione WeWorld, in collaborazione con il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e la rivista Animazione Sociale, ha realizzato la prima indagine organica su un fenomeno ormai sempre più diffuso ma del quale ancora si parla troppo poco: quello dei giovani che non sono inseriti in alcun percorso formativo e nemmeno lavorano. L’indagine, il cui titolo è, non a caso, “Ghost” (cioè fantasma), analizza le proporzioni e le cause del fenomeno, sollecitando interventi – ormai non più procrastinabili – per affrontare la questione.
I NEET italiani sono per la maggior parte donne e risiedono per lo più al Sud, dove la percentuale di giovani che non studiano né lavorano è del 35 per cento (al Nord sono meno del 20 per cento). Il fenomeno è andato crescendo di anno in anno a partire dal 2007 al ritmo di un punto percentuale ogni 12 mesi. Questi drammatici dati, uniti a un tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 40 per cento, fanno sì che l’Italia sia fanalino di coda in Europa, ben lontana da paesi quali il Regno Unito, la Francia o la Germania.
L’Indagine WeWorld 2015 segnala che la causa di questo fenomeno, in accordo con quanto sostenuto anche dall’Unione Europea, è la dispersione scolastica, che da noi è tuttora una triste realtà, con il 15 per cento dei giovani che abbandona gli studi prima di aver raggiunto il titolo previsto per il percorso formativo che aveva intrapreso. Ma, come segnala lo studio, essere un NEET più che una condizione reale è spesso uno stato mentale: c’è infatti una fetta di giovani che si auto-iscrive nella categoria pur essendo in effetti impegnata in attività come tirocini e simili. Questo perché ritengono la propria attività non consona alle loro qualifiche e non in linea con le loro aspirazioni.
Secondo l’Indagine WeWorld 2015 i nostri giovani si possono dividere in tre categorie: quelli di successo, che provengono da famiglie abbienti e da percorsi formativi privilegiati; quelli che si trovano in una sorta di condizione di mezzo, avendo completato gli studi e provando a entrare nel mondo del lavoro, pur con molte difficoltà; quelli che sono ai margini del sistema formativo e di quello lavorativo e sono talmente scoraggiati da smettere perfino di cercare. Ed è proprio questo il tratto che definisce e accomuna i NEET: la rassegnazione.
A spingere i giovani in questa condizione di marginalità ci sono anche, stando all’Indagine WeWorld 2015, le esperienze negative che essi collezionano nel corso del proprio iter formativo. Bocciature, scelte sbagliate, preferenza verso indirizzi di studio che fanno ottenere titoli meno spendibili nel mondo del lavoro. Insomma, in Italia andrebbe ripensato per intero il sistema dell’orientamento e occorrerebbe incentivare i giovani a formarsi meglio e di più, seguendoli anche in maniera più mirata durante il loro percorso tra i banchi di scuola.