La salute dei denti potrebbe avere un nuovo prezioso alleato. Secondo un recente studio dell’University of Edinburgh, infatti, la liquirizia previene la carie. Un’ottima notizia per i golosi, che potranno concedersi questa prelibatezza senza troppi sensi di colpa (o quasi). Stando a quanto emerso dalla ricerca degli scienziati scozzesi, che si è meritata di essere pubblicata sulla rivista Chemical Communications, un composto presene nella liquirizia – il trans-chalcone – avrebbe la proprietà di uccidere i batteri responsabili della formazione della carie.
La placca, il temibile precursore della carie, è causata dal metabolismo degli zuccheri da parte dei batteri che vivono nel cavo orale. Questi batteri creano un biofilm appiccicoso sui denti e hanno la capacità di trasformare lo zucchero in acido lattico, mediante il quale attaccano lo smalto, erodendolo pian piano. Ma gli sgradevoli inquilini della nostra bocca sembrerebbero essere neutralizzabili grazie proprio al trans-chalcone, che impedirebbe la creazione del biofilm. Ecco perché gli studiosi affermano che la liquirizia previene la carie.
Per avere un sorriso smagliante, quindi, via libera alle rotelle di liquirizia? Non proprio. Quando è raffinata, come accade per la produzione delle comuni caramelle, essa viene addizionata con zuccheri vari (oltre a molte altre sostanze) e l’effetto benefico del trans-chalcone va perduto. La liquirizia previene la carie solo se non contiene glucidi, per cui l’ideale sarebbe consumarla sotto forma di radice. I dati emersi dallo studio scozzese che dimostrano come il trans-chalcone blocchi un enzima fondamentale affinché la placca possa produrre il biofilm, secondo i ricercatori, dovrebbero piuttosto indurre a creare prodotti per l’igiene orale contenenti sostanze affini a quella presente nella liquirizia.
In attesa che l’industria dei dentifrici e dei collutori batta un colpo, per il momento la ricerca che ha dimostrato come la liquirizia previene la carie ha suscitato l’interesse di un’azienda produttrice di gomma da masticare, che ha deciso di finanziare il team dell’University of Edinburgh.