La crescita sembra davvero iniziare a far capolino. Lo conferma il Rapporto Istat 2015, presentato ieri alla Camera dal presidente dell’istituto di statistica, Giorgio Alleva. Il rapporto segnala una – seppur lieve – crescita degli occupati (+0,4 per cento) e dei consumi (+0,3 per cento), dopo anni nerissimi. Ma non c’è da sorridere troppo: resta fortissima, infatti, la frattura tra Nord e Sud, con il Mezzogiorno che continua ad arrancare. E cresce in maniera assai evidente anche la fuga dei giovani laureati e dottori di ricerca italiani verso l’estero, anche se la fetta di popolazione in possesso di un titolo di studio universitario aumenta.
Per quanto riguarda il settore della formazione, il Rapporto Istat 2015 segnala l’aumento degli studenti stranieri, che hanno superato le 800mila unità (pari al 9 per cento del totale). Iscritti per lo più alle scuole secondarie di primo e secondo grado, per la metà vorrebbero proseguire gli studi frequentando l’università.
Il Rapporto Istat 2015 segnala anche che la popolazione italiana diventa sempre più istruita: l’anno scorso il 35,6 per cento dei residenti di almeno 15 anni d’età era in possesso di una qualifica o un diploma di istruzione secondaria superiore e il 12,7 per cento aveva in tasca addirittura una laurea. La percentuale dei laureati è più alta tra le donne, con una percentuale che raggiunge i 13,5 punti.
Ma ci sono anche delle note dolenti. Aumenta, infatti, ulteriormente il tasso di cervelli in fuga, fenomeno che per quanto riguarda i dottori di ricerca raggiunge proporzioni preoccupanti. La precedente rilevazione dell’istituto di statistica aveva riguardato le coorti 2004 e 2006, evidenziando che ad aver abbandonato stabilmente l’Italia era stato il 7 per cento di coloro che avevano conseguito il dottorato, dato che nel Rapporto Istat 2015, relativo alle coorti 2008 e 2010, è salito al 12,9 per cento. A fare le valigie sono soprattutto fisici, matematici e informatici.
Leggendo il Rapporto Istat 2015 si scopre anche che alcune professioni hanno resistito molto meglio di altre alla crisi, ma – un po’ a sorpresa – non sono quelle che ci si aspetterebbe. A passere indenni la tempesta economica non sono stati i professionisti più qualificati, bensì badanti, operatori socio-sanitari e addetti alle pulizie. Si tratta, insomma, di lavoro classificati tra quelli più “umili”, appannaggio per lo più di donne e stranieri. Insomma, ancora una volta si conferma che nel nostro Paese la laurea non è garanzia di protezione contro la disoccupazione.