Non se la passano troppo bene i laureati in Giurisprudenza italiani. Tra loro la disoccupazione cresce a ritmi sostenuti e, di conseguenza, le professioni forensi diventano sempre meno appetibili. Così, le aule universitarie si stanno pian piano svuotando e i corsi di laurea finalizzati alla formazione di avvocati, notai, magistrati, consulenti del lavoro, eccetera registrano un -22 per cento di immatricolazioni.
A lanciare l’allarme sono state l’Associazione italiana giovani avvocati (Aiga) e l’Associazione italiana giovani notai (Asign), che in proposito ieri hanno promosso una giornata di studio in Campidoglio. Un modo per provare a tracciare le prospettive future di coloro che conseguono una laurea fino a pochi anni fa molto desiderata perché considerata ricca di sbocchi lavorativi e oggi, invece, quasi evitata.
Complice la crisi, la disoccupazione tra i laureati in Giurisprudenza cresce di anno in anno e ha raggiunto numeri preoccupanti. Nel nostro Paese ci vogliono mediamente 21 mesi per trovare il primo lavoro dopo la discussione della tesi e a cinque anni dalla laurea si registra un tasso di senza lavoro pari al 13,2 per cento. La sfavorevole congiuntura economica, inoltre, colpisce perfino chi già esercita la professione e anche questo contribuisce a scoraggiare le immatricolazioni. I guadagni degli avvocati sono diminuiti del 3,1 per cento nel 2013 e sono più di 80mila i giovani avvocati che non arrivano a superare i 10mila euro l’anno.
A far crescere la disoccupazione tra i laureati in Giurisprudenza è, secondo molti, l’inadeguatezza della formazione ricevuta. In Italia i piani di studio sono troppo tradizionali e privilegiano materie come il Diritto romano, lasciandone da parte altre, più attuali, come il Diritto della Rete. Occorre spingere i giovani a specializzarsi in settori meno “classici”, come ha osservato Nicoletta Giorgi, presidente Aiga: “Serve un avvocato 2.0, e in generale maggiore specializzazione per le professioni giuridiche nei nuovi campi del diritto: dal commerciale, che copre uno spettro non più nazionale, ma globale, alle problematiche relative al Web o al diritto ambientale”.
Se si vuole porre un freno alla crescita della disoccupazione tra i laureati in Giurisprudenza le università devono adeguarsi ai tempi, insomma. I nostri atenei sapranno raccogliere la sfida?
Entro un anno dalla laurea per uno studente di giurisprudenza è quasi impossibile trovare lavoro. Per la libera professione ci vogliono almeno 3 anni, per un posto statale o privato non meno di un anno, tra bandi, concorsi, test e uscita dei risultati. Giurisprudenza non può stare in questo genere di classifiche farlocche.
Articolo non obiettivo e tendenzioso con numeri taroccati (altre fonti danno altri numeri e un altro arco temporale -un anno-).
Sola speranza è avere tanti soldi per specializzarsi e avere passione per la professione per esercitare con non sempre guadagni di chi sa che tipo.
per quanto concerne i concorsi non ce la si fa spesso in un anno a superarli a volte ci sono 20000 persone iscritte in media delle più disparate esperienze ma soprattutto tanta gente che studia tempo pieno…e chi ci riesce fa bene perché a volte dopo Anni di studio magari ce la fa’.
Nelle aziende ormai cercano pochissimo e con paghe da fame ..per di più per mansioni da impiegato operaio (call center). Alla fine perché creare solo facoltà di giurisprudenza. .per di più senza numero chiuso? E lo studio fatto ? Troppo classico,impegnativo si ma senza specializzazione. A volte occorrerebbe un collegamento diverso tra studio e mondo del lavoro .Buona parte dei laureati in giurisprudenza una volta usciti dalla ambizione di fare gli avvocati ma soprattutto quando si scontrano col mondo del lavoro non sanno cose semplicissime.
Cosa è un contratto collettivo nazionale del lavoro?
Cosa è un super minimo ?averlo studiato Non è equivalente a sapere praticamente cos ‘ è.
Anche lavorare spesso precariamente ed in ambiti differenti rispetto al percorso di studi a lungo andare non da molto .
Invece di dare posti di lavoro a professori filosofi del diritto, Non possiamo studiare eventuali sbocchi lavorativi differenti e far si che ognuno scelga una direzione più precisa? Invece di far affollare acriticamente le aule di tribunali o le sedi in cui si svolgono maxiconcorsi ?
Magari sarebbe più proficuo per tutti.
La laurea in Giurisprudenza non da più lavoro, sono 5 anni che cerco e sto a spasso!!
I miei amici avvocati vanno allo studio solo per non restare a casa senza fare niente e non guadagnano nulla il più fortunato 300 euro.
E questo è il futuro che c’è in Italia dopo una laurea e specializzazione……assurdo!!!
Qui non si lavora più, i giovani sono lasciati al loro triste destino senza niente, non siamo più autonomi e indipendenti come negli anni 80 quando con un diploma ti prendevano ovunque, potevi diventare anche direttore di banca. Che Tristezza!! E poi per non parlare dell’età, si perchè a 30 anni con una laurea in Italia non ti assume più nessuno.
A dire il vero io per esempio ho trovato un contratto di stage seguito da 3 anni di apprendistato in azienda, in segreteria societaria.
Il lavoro è brutto, però quantomeno pagano…solo che siamo sempre lì, conclusi i 3 anni poi possono dirti grazie ed arrivederci, così tu non hai uno straccio di lavoro ed esperienza effettivamente spendibile..volere mettere su famiglia è utopico..
Molto semplice la questione. La facoltà di Giurisprudenza non offre una spendibilità immediata nella realtà professionale attuale. Rectius, non offre proprio una professionalità. Inutile conseguire un titolo che ha la pretesa di elevarti a profondo conoscitore della realtà nei suoi aspetti legali ed amministrativi, se poi non hai mai visto un contratto, un atto di citazione, una comparsa di risposta, un ricorso o un qualsiasi atto amministrativo. Lo studente è costretto ad una formazione enciclopedica e generalista, intrisa di artifici dottrinali e passatempi lessicali. Improntata nel migliore dei casi alla sola avvocatura, questa formazione lo porterà ad incanalarsi su un odioso binario dove sarà soggetto alla solita stanca ed esosa procedimentalità burocratica tipica del nostro Paese. Maschera delle resistenze di gruppi di potere e di interesse. Purtroppo il giurista capisce ben presto che la concezione della legge come servizio non sarà mai propria di questo ordinamento, finendo per illudersi che forse troverà la sua isola di realizzazione, ma ritrovandosi vittima di quella che sarà solo IL mero strumento di una studiata discriminazione da parte di chi su quell’isola è già approdato. Anche da parte del mondo accademico, connivente nella riproposizione di manuali, complice di governi nella proposizione di riforme ed eventuali, restio ad orientarlo verso strade alternative che non siano altre professioni legali ancora più difficili da intraprendere per l’elevato rapporto costi/chance di beneficio. Personalmente sono laureando in Giurisprudenza ma non vedo in cosa potrei essere di supporto ad un’azienda privata. Discetto di norme, fonti ed interpretazioni, posseggo una mera base per crearmi un giorno una professione legale se mai ne avrò il fegato e le motivazioni, potrei così, giocarmi anzichè la bolletta alla SNAI, un concorso pubblico, ma niente di più. Il senso di insoddisfazione e frustrazione, considerando che lo studio di tali questioni è ostico e non proprio intuitivo, è molto elevato.