Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ‘Education at a glance’, avere o meno una laurea in Italia fa poca differenza, almeno a livello di retribuzione. Rispetto al diploma, da noi un titolo di studio più alto non “paga” abbastanza.
Un laureato da noi guadagna solo il 46,5 per cento in più rispetto a un diplomato, a fronte di una media Ocse che si attesta al +70,4 per cento. E siamo sotto anche alla media dell’Europa a 21 paesi, che è pari al +68,3 per cento. Mentre da noi proseguire gli studi non “paga” abbastanza, altrove la laurea fa davvero una grossa differenza: è il caso del Cile, ad esempio. Nella nazione sudamericana, chi è in possesso di un titolo universitario guadagna il 208,7 per cento in più rispetto a chi si è fermato al grado di istruzione inferiore.
La laurea “paga” molto anche in altri paesi: in Ungheria e Irlanda consente di guadagnare circa il doppio rispetto al diploma (rispettivamente il 108,6 e il 100,6 in più). Decisamente meglio di noi fanno anche gli altri “sorvegliati speciali” dell’area euro – Grecia (+97,8), Portogallo (+70,9) e Spagna (+55,6) – e il paese che traina l’economia europea, la Germania (+82,8), così come la Francia (+69,9), che è al livello della media Ocse. Sotto tale media rimangono, invece, le retribuzioni dei “dottori” del Regno Unito (+63,7).
Se negli USA un laureato guadagna l’81,7 per cento in più di un diplomato e in Giappone il 71,6 per cento, tra i paesi nei quali avere completato o meno gli studi universitari conta poco o nulla ci sono quelli scandinavi. La Norvegia è quello in cui la laurea “paga” meno in assoluto (+28,4 per cento), ma anche in Danimarca la situazione è simile (+30).
Insomma, non siamo gli unici a non valorizzare abbastanza e non gratificare economicamente coloro che hanno un livello di istruzione superiore. Il problema, però, per l’Italia è che questo, unito alla difficoltà che i nostri laureati incontrano nel trovare lavoro, fa sì che cresca – come il rapporto dell’Ocse ha evidenziato – il disinteresse verso gli studi terziari.