In assenza di un buon orientamento, troppi diplomati al momento di decidere quale corso universitario intraprendere fanno una scelta sbagliata. Il problema riguarda soprattutto gli aspiranti medici, spesso non veramente motivati, che affollano le aule dei test di ammissione. A dirlo è Andrea Lenzi, attuale presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun) e direttore della sezione di Fisiopatologia medica ed Endocrinologia della Sapienza di Roma.
La mancanza di un adeguato orientamento porta alla “presenza di oltre 80mila domande di accesso a Medicina su poco più di diecimila posti disponibili”. Un numero davvero esagerato, se si considera che “lì in mezzo ci saranno sì e no 20mila aspiranti veri“, mentre gli altri – forse spinti da sempre più telefilm che presentano la professione del medico in modo accattivante – in fin dei conti non hanno una reale vocazione. E gli aspiranti non realmente motivati potrebbero perfino diventare otto volte più di quelli attuali, se solo si approvasse la nuova linea d’indirizzo proposta ultimamente dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, prendendo spunto dal modello francese.
Che fare? Occorre investire di più per far arrivare i ragazzi a una decisione più consapevole. Ma anche gli studenti, dal canto loro, devono darsi più da fare, adeguandosi “a un modo di pensare non più solo statunitense, ma ormai proprio dell’Europa intera: i ragazzi devono scegliere il meglio, e se il meglio è lontano pazienza”. Per evitare il proliferare degli aspiranti medici non motivati è necessario un intervento sul lungo periodo: “Se non si orientano i ragazzi con un lavoro serio, dai 15 anni fino alla conclusione del liceo e non si spiega loro cosa c’è dopo la maturità, li si porta – continua Lenzi – sul precipizio di una scelta casuale e inconsapevole”.
Per il presidente del Cun, ad esempio, una buona riorganizzazione delle pratiche di orientamento potrebbe essere ottenuta attraverso il supporto di reti tecnologiche di informazione e di comunicazione on line e con un tutorato di accompagnamento formativo. A tal proposito, la componente Istruzione del Miur potrebbe cofinanziare posti di ricercatore ad hoc, “per avere a un tempo più risorse per giovani ricercatori che dedicheranno la loro attività di ricerca all’università e l’attività didattica (adeguatamente addestrati) all’orientamento nelle scuole”.
Così si aiuterebbe ciascuno studente a seguire davvero le proprie inclinazioni e si eviterebbero le orde di aspiranti medici non motivati, spinti a tentare il test di ammissione solo dalla prospettiva di un lavoro che si ritiene ancora “sicuro” e ben retribuito, e – ancor di più – si ridurrebbe il numero di coloro che si pentono della scelta effettuata.
Mi chiedo se il motivo di tanta perplessità sia il non avere sufficienti mezzi di accogliere aspiranti medici. Non basta come deterrente affrontare un test dove è richiesto di superare una media di uno su dieci persone?
E poi in questo articolo sono specificati i criteri di giudizio per valutare la reale aspirazione di uno studente che decida di affrontare il test?