Si chiama quota premiale e dovrebbe essere un riconoscimento per gli atenei che offrono il meglio in termini di qualità di didattica e ricerca. Invece, l’assegnazione della parte del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) 2013 destinata alla valorizzazione delle eccellenze non sembra aver apportato alcun vantaggio per le casse delle università più ‘virtuose’. Alla fine di un cammino quest’anno quanto mai lungo ed estenuante, il risultato della ripartizione dei fondi tra i vari atenei pubblici, secondo il quadro dipinto dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore, è ricco di contraddizioni.
Un primo dato evidente? L’ammontare del finanziamento statale vede enormi differenze tra le varie università, se rapportato al numero di iscritti – pesati secondo i dettami ministeriali in base al corso di studio scelto. Così l’università più ricca, per così dire, è la Tuscia di Viterbo, con quasi 6.500 euro a iscritto. Più del doppio di quanto spetta al Politecnico di Milano o allo Iuav di Venezia.
Ma è la quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario 2013 il punto più dolente. Prima prevista, poi annullata, infine reintrodotta con parametri piuttosto stretti, quella parte delle risorse che lo Stato divide in base ai risultati ottenuti da ciascun ateneo in sede di valutazione di didattica e ricerca non pare, conti alla mano, uno stanziamento in grado di fare la differenza e avvantaggiare le istituzioni che hanno ottenuto i piazzamenti migliori. Tanto che la Bicocca di Milano, l’università che ha avuto i risultati più lusinghieri nella valutazione ANVUR, occupa il 41esimo posto (su 54) nella graduatoria degli atenei che hanno ricevuto di più.
All’università milanese sono stati destinati 3.793 euro per ciascun iscritto, contro i 4.989 dell’Università di Messina, arrivata ultima nelle pagelle di qualità. Perché? Se la quota premiale non premia, il motivo sta prima di tutto nei correttivi che sono stati apportati nel difficoltoso cammino del Fondo di finanziamento ordinario 2013 prima di arrivare alla sua forma definitiva.
In seguito al taglio di 4,5 punti percentuali del Fondo di finanziamento ordinario rispetto al 2012, infatti, per evitare che il premio concesso agli atenei migliori diventasse una condanna per gli altri, il MIUR ha introdotto una clausola di salvaguardia grazie alla quale ogni università non può perdere più del 5 per cento delle risorse dell’anno precedente. Così la riduzione dei fondi ha colpito un po’ tutte le università, a prescindere dai risultati ottenuti in sede di valutazione. Ed è stato possibile, ad esempio, che le Università di Bologna e Venezia, ai primi posti nelle graduatorie dell’ANVUR, abbiano subito tagli vicini al 5 per cento, simili a quelli toccati agli atenei peggio piazzati.