Per le donne non è facile fare carriera nel mondo accademico. Nonostante le neodiplomate che si iscrivono all’università siano quasi 7 su 10 e quelle che si laureano 22 su 100 (mentre solo 15 maschi su 100 raggiungono la laurea), le docenti universitarie sono poco più di un terzo del totale: precisamente il 35 per cento, la percentuale più bassa del pubblico impiego, a eccezione delle aziende municipalizzate dei trasporti. Un fenomeno che non riguarda solo l’Italia e nemmeno unicamente l’ambito universitario.
I motivi per cui la carriera delle donne è ancora difficile all’università sono diversi. Innanzitutto, il sesso femminile manifesta una certa tendenza all’autosegregazione, che spinge le diplomate a iscriversi in massa ai corsi di laurea umanistici (l’80 per cento), autoescludendosi da quelli scientifici (31 per cento) e soprattutto da Ingegneria (21 per cento). In realtà – come spiega Romana Frattini, ricercatrice e autrice con Paolo Rossi del Report sulle donne nell’università italiana del 2012 – “solo nelle discipline umanistiche la percentuale di docenti maschi e femmine è paragonabile, almeno fra ricercatori e associati, ma bisogna considerare il punto di partenza: 8 iscritti su 10 sono donne”. E poi, “i pochi ragazzi che scelgono questi corsi di laurea sono molto motivati: e così fra gli ordinari gli uomini tornano a imporsi con largo stacco”.
L’altra ragione per cui la carriera delle donne all’università è difficile riguarda le commissioni d’esame, formate quasi esclusivamente da uomini, elemento da non sottovalutare. Da uno studio condotto da due docenti di Economia dell’Università della Calabria, Maria De Paola e Vincenzo Scoppa, è emerso – per fare solo un esempio – che le commissioni così composte tendono a scegliere i candidati maschi, mentre basta la presenza di almeno una donna in commissione per colmare lo svantaggio. Per Daniele Checchi, professore di Economia politica alla Statale di Milano e studioso del sistema dell’istruzione, “in parte è una questione di omofilia, in parte è un problema culturale in senso lato”.
Oltretutto, sembra proprio che nel nostro Paese le donne siano anche meno portate per i ruoli dirigenziali. Basti pensare ai rettori che si trovano a capo delle università italiane: su 78 solo 5 non sono maschi. Spesso ciò accade per colpa proprio delle donne, che tendono a non puntare a certi ruoli, mentre “invece – dichiara Cristina Messa, professore ordinario di Diagnostica per immagini e vice direttore del CNR dal 2011 – dovremmo osare di più, non tirarci indietro con la scusa della famiglia”. Quando una rettrice donna non farà più notizia, sola allora “vorrà dire che il problema della discriminazione di genere è veramente risolto”.