Gli studenti universitari? Una casta di privilegiati a spese della collettività. Così li ha dipinti ieri sul quotidiano Libero il giornalista Filippo Facci dopo l’ultima mobilitazione nazionale in difesa di istruzione, ricerca e università pubblica. Il giornalista ha accusato gli universitari di protestare da quarant’anni senza mai azzeccare una battaglia, di essere troppo coccolati dalla stampa “conformista” e dai genitori, e di essere plagiati “dalla cultura bipolare e catastrofista dei loro cattivissimi maestri sessantottini”.
Gli universitari sarebbero una casta che nega di essere tale e che si offende ingiustamente, secondo il giornalista di Libero, davanti a semplici constatazioni. Come quando l’ex ministro Fornero definì i giovani italiani choosy, schizzinosi, verso il mondo del lavoro. O come quando la sua collega Cancellieri li chiamò “mammoni“. O, infine, quando l’ex viceministro Martone non ebbe dubbi nel definire uno studente 28enne non ancora laureato “uno sfigato“.
Ma, scrive Facci, i rilievi mossi sarebbero tutt’altro che immotivati e ingiuriosi, visto che nel nostro Paese l’età media alla laurea è 27 anni, mentre nel resto d’Europa è di 24. E, come ha recentemente sottolineato anche il governatore di Bankitalia Visco, il nostro livello di istruzione è assai indietro rispetto a quello degli altri Paesi avanzati. Come se non bastasse, il giornalista di Libero spiega che i nostri sarebbero gli studenti “con meno mobilità al mondo”, dal momento che l’80 per cento di loro sarebbe addirittura iscritto in un ateneo della stessa regione di residenza. E, che chiamarli “mammoni” è più che giusto, visto che 5 italiani su 10 di età compresa tra i 25 e i 34 anni vivrebbero ancora coi genitori.
I nostri universitari – o almeno, quelli tra loro che scendono in piazza “col fegato di sostenere che gli stanno rubando il futuro” – sarebbero per Facci un gruppo di privilegiati che “hanno scambiato la condizione studentesca per un parcheggio post-puberale” e pensano che una professione e l’emancipazione siano diritti, non conquiste. In sintesi, dei “poveracci che siamo riusciti a rovinare con la scusa di proteggerli”.
Gli studenti sarebbero una casta privilegiata e “patetica”, in quanto ognuno di loro costa allo Stato più di quel che paga in tasse universitarie, “soltanto mille o duemila euro l’anno” a fronte dei settemila che l’erario sborserebbe per ogni iscritto all’università, in media. Perché, continua Facci, “una casta è proprio questo, il privilegio di una minoranza a spese di una maggioranza”.
Che si sia d’accordo o meno con il giornalista di Libero, resta il fatto che il lavoro è davvero un diritto sancito dalla nostra Costituzione, e che i soldi che lo Stato spende per fornire ai nostri giovani un’istruzione universitaria sono un investimento sul futuro del Paese.