Perché non ascoltiamo solo musica allegra e spesso ci facciamo rapire da melodie malinconiche? Secondo un gruppo di ricercatori giapponesi il motivo è che anche la musica triste ha il potere di evocare emozioni positive, soprattutto di natura romantica. Lo studio, pubblicato su Frontiers in Psychology è stato realizzato da Ai Kawakami della Tokyo University of the Arts insieme a un team di ricercatori del RIKEN Brain Science Institute.
La musica triste avrebbe il potere di suscitare emozioni romantiche in chiunque, a prescindere dalle preferenze e dal background di ciascuno. Insieme alla malinconia, insomma, tutti proveremmo anche sensazioni positive ascoltando brani musicali più cupi, e questa ambivalenza spiega perché siamo attratti anche dalle melodie meno allegre, specialmente in alcuni frangenti della nostra esistenza.
“Se la musica triste ci provocasse esclusivamente emozioni negative finiremmo semplicemente di ascoltarla”, ha spiegato Ai Kawakami, sottolineando che la ricerca appena pubblicata è riuscita, invece, per la prima volta a dimostrare che “le melodie malinconiche attivano in noi sensazioni ambigue e contraddittorie”. Quindi, quando scegliamo di trascorrere del tempo ascoltando pezzi apparentemente deprimenti non lo facciamo per provare disagio o per avere un sottofondo sonoro che rifletta il nostro umore nero. O, per lo meno, non lo facciamo soltanto con questo intento.
Le melodie più cupe, infatti, “se da un lato ci rattristano dall’altro innescano emozioni romantiche”. Il perché di tutto ciò, secondo i ricercatori, è da ricercare nel fatto che “a differenza della reale tristezza scaturita da eventi della vita quotidiana, la tristezza vissuta attraverso l’arte è istintivamente approcciata in maniera differente proprio perché non costituisce una concreta minaccia ma, al contrario, ci aiuta ad affrontare le emozioni negative in maniera più tenue”. In sostanza, per la sua capacità di evocare in noi sensazioni romantiche, la musica triste avrebbe una funzione catartica e ci aiuterebbe ad elaborare l’infelicità.
Alla luce delle conclusioni tratte dai ricercatori giapponesi, dunque, viene da pensare che probabilmente, quando alla fine di una storia d’amore ci si ritrova ad ascoltare per ore brani malinconici non lo si faccia esclusivamente per crogiolarsi nel proprio dolore, ma anche come una specie di auto-terapia.