Studio di Cambridge su Facebook e privacy: i 'like' dicono chi siamo
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Studio di Cambridge su Facebook: metti un ‘like’ e saprò chi sei. Ma la privacy?

da | Mar 2013 | News | 0 commenti

Quello della privacy degli utenti su Facebook è sempre stato un argomento piuttosto controverso, e adesso per far puntare a molti il dito contro Zuckerberg e soci arriva uno studio dei ricercatori dello Psychometrics Centre dell’Università di Cambridge in collaborazione con Microsoft Research che dimostra come moltissime informazioni su di noi siano ricavabili da una delle azioni base della piattaforma: il ‘like’.

Proprio così: i ‘mi piace’ che mettiamo alle pagine possono essere analizzati e portare a scoprire tantissimo di noi. Per il loro studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), i ricercatori di Cambridge hanno messo a punto un algoritmo che ha permesso di ricavare su 58mila utenti volontari dati molto più personali di quelli che, per difendere la nostra privacy, possiamo decidere di compilare o meno nel nostro profilo Facebook.

Infatti il modello Cambridge Psychometrics Centre – Microsoft Research si è mostrato capace di individuare attraverso i ‘like’ con un’accuratezza dell’88 per cento l’orientamento sessuale, del 95 per cento il colore della pelle e dell’85 per cento l’appartenenza politica. Ma non solo: perfino il possibile utilizzo di sostanze stupefacenti (accuratezza attorno al 70 per cento) e l’essere o no figli di separati (accuratezza del 60 per cento).

Esiti e livelli di precisione che hanno stupito perfino gli stessi ricercatori. David Stillwell ha subito invitato alla parsimonia e prudenza nell’uso del ‘like’, anche se Facebook ha subito replicato. Del resto già da tempo si sapeva che le informazioni che più o meno volontariamente disseminiamo su Facebook vengono utilizzate per scopi commerciali, di marketing o semplice studio. Meno facilmente digeribile forse il fatto che così tanto della nostra vita privata sia intuibile analizzando la nostra attività nel web, e forse, come ha dichiarato Thore Graepel della Microsoft Research, questa ricerca “potrebbe servire come reminder per i consumatori invitandoli ad avere un approccio attento alla condivisione delle informazioni online, a utilizzare i controlli della privacy e a non condividere contenuti con sconosciuti”.

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