Si sono aperte da pochi giorni in sei università italiane le iscrizioni alle prime facoltà interamente in lingua inglese. I corsi di laurea, che coprono più ambiti – da Medicina a Ingegneria – sono pensati per il duplice fine di internazionalizzare i nostri laureati e attrarre gli studenti stranieri.
Riguardo alle facoltà interamente in inglese sono state queste le parole del ministro Francesco Profumo, durante la presentazione del Master in Istituzioni e Politiche Spaziali presso la sede della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (Sioi), l’ente erogatore del corso: “Per migliorare la nostra competitività è necessario interiorizzare maggiormente l’appartenenza all’Europa. Gli studenti stranieri nelle nostre università sono appena il 2,5 per cento, un dato troppo basso che dobbiamo assolutamente aumentare, così come formazione e mercato del lavoro hanno bisogno di un respiro internazionale“.
E in poco, pochissimo tempo, già più di 700 candidati si sono iscritti ai test di ammissione per le facoltà in lingua inglese, ma le iscrizioni resteranno aperte fino a fine Marzo e c’è da scommettere che i numeri diverranno molto più alti. Se la risposta degli studenti sembra entusiasta, però, non altrettanto si può dire dell’opinione che delle facoltà in inglese hanno linguisti, glottologi, letterati e intellettuali. Il casus belli? Il fatto che dall’anno accademico 2014-2015 l’intera offerta formativa del Politecnico di Milano sarà in inglese. Contro quest’ultima decisione è stato addirittura presentato un ricorso al Tar per presunta illegittimità costituzionale, dal cui esito dipenderà l’effettiva attuazione dei progetti dell’ateneo lombardo.
Questo il rischio avvertito da prestigiose istituzioni come l’Accademia della Crusca, i Lincei, la Società Dante Alighieri: la rinuncia alla propria lingua e alla propria identità culturale. Quello che da più parti si chiede è di conciliare volontà ed esigenza di internazionalizzazione con un solido possesso di quelle conoscenze e competenze in lingua e cultura italiana auspicabili per un’adeguata futura classe dirigente. È indubbio però, d’altra parte, che l’inglese eserciti un appeal sempre maggiore sugli studenti, anche in vista di un lavoro all’estero, e dunque delle aumentate possibilità e prospettive di carriera che le facoltà in inglese sembrano promettere.
Mi chiedo perché incentivare e quindi attrarre studenti stranieri nelle università italiane dove già è difficoltoso entrare per i ns figli?
Mi aspetto risposta in quanto mi sembra una grande contraddizione.
Cordiali saluti
Roberto