Una notizia appena giunta dalla Cina apre nuovi interessanti orizzonti per quanto riguarda la ricerca sulle malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer e per lo sviluppo di nuovi farmaci. I ricercatori dell’Accademia cinese delle Scienze hanno infatti ideato una nuova tecnica, descritta dettagliatamente sulla rivista Nature Methods, che consente di riprogrammare le cellule dell’urina trasformandole in cellule neurali.
Per giungere al sorprendente risultato il gruppo di studio, guidato da Duanquing Pei, ha prima isolato le cellule dai campioni di urina di tre volontari di 10, 25 e 37 anni per poi inserire al loro interno alcuni geni in grado di riprogrammarne l’espressione del DNA. Le cellule sono state infine messe in coltura con un mix di molecole e, dopo pochi giorni, si sono trasformate in progenitrici neurali capaci di differenziarsi in neuroni o in altre cellule del sistema nervoso (dette cellule gliali).
L’efficacia di questa procedura sembra essere provata dai primi risultati ottenuti e, nell’attesa di nuove conferme, il team ha testato le prime cellule progenitrici ottenute dall’urina trapiantandole nel cervello di 12 cuccioli di topo. In questo modo, i ricercatori hanno potuto osservare che queste si trasformavano in nuove cellule neurali senza che insorgessero dei tumori.
Duanquing Pei e il suo gruppo di ricercatori hanno sottolineato come la tecnica possa facilmente essere utilizzata per generare cellule neurali progenitrici nei soggetti colpiti da patologie neurodegenerative. È necessario, infatti, solo un campione delle loro urine per ottenere in laboratorio delle cellule su cui poter condurre studi, testare nuovi farmaci o indagare i meccanismi che sono alla base di certe malattie, trasformando un rifiuto del nostro organismo in una risorsa preziosissima per la ricerca.
Non è la prima volta che i nostri liquidi biologici sono stati utilizzati dai ricercatori per dare vita a cellule progenitrici. Nel 2007 era finito sotto la lente d’ingrandimento degli studiosi il liquido amniotico che su un articolo di Nature Biotechnology era stato presentato, sebbene tra lo scetticismo della comunità scientifica, come una miniera di cellule staminali. Sempre il liquido amniotico è stato oggetto di studio di un altro lavoro pubblicato su Blood nel 2009.
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