All’Università di Bologna la partecipazione a un seminario internazionale sulla ricerca umanistica è sociale si è trasformata nel proscenio da cui Umberto Eco ha lanciato il suo accorato “j’accuse” contro il governo Berlusconi, reo di aver chiuso i cordoni della borsa per l’istruzione in generale e per le facoltà umanistiche in particolare.
Nel corso dell’evento programmato per celebrare l’anniversario della firma della Magna Charta, Eco ha spiegato che l’azione dell’esecutivo mina il principio dell’interdisciplinarietà dei saperi e mette il nostro sistema culturale in una posizione di subalternità rispetto ad altre culture e Paesi.
L’intellettuale e membro dell’Accademia dei Lincei ha spiegato che il modello di formazione scientifico e quello umanista sono soltanto in apparenza separati, sottolineando l’importanza di coltivare la filosofie a le lettere così come le discipline tecnico-scientifiche, ma specificando che “gli umanisti vanno anche usati bene”. Con la sua consueta ironia Eco ha fatto l’esempio dell’ex presidente Usa George Bush, che se avesse dato retta agli storici non avrebbe invaso l’Afghanistan.
Parlando di poteri forti ha poi sottolineato che evidentemente anche scuole e università lo sono, dal momento che vi si insegnano “punti di vista” e vi si apprende la libertà di critica. “Ecco perché – è la conclusione di Umberto Eco – si sta cercando di uccidere le facoltà umanistiche, mentre bisognerebbe umanizzare ancor più quelle scientifiche”.
Intervenendo sul tema dell’incontro – “Saperi che servono. La ricerca umanistica e sociale in un’età di riforme” – Eco ha poi appuntato la sua critica sulla vulgata per cui si dovrebbero disincentivare le iscrizioni ai corsi di laurea in materie umanistiche, non per il gusto di rimpinguare le fila dei disoccupati (i dati evidenziano un maggior tasso di occupazione per chi studia le materie scientifiche), ma perché “un buon filosofo” è importante anche per le scienze esatte.