Beccati ed espulsi. Peccato che i due studenti, musulmani di etnia uigura, stessero semplicemente pregando. “Attività religiose illegali”, secondo le autorità accademiche della Hangzhou Normal University, nella provincia cinese di Zhejiang, che hanno provveduto all’espulsione dei due giovani da una scuola superiore collegata all’ateneo dopo averli sorpresi a frequentare una moschea.
Un provvedimento che non sarebbe poi così raro: secondo la comunità uigura, che conta oltre 16 milioni di persone, pratiche repressive di questo genere sarebbero da ascrivere in una politica complessiva volta a disinnescare le tensioni separatiste nella regione di Xinjiang, dove i musulmani uiguri, di lingua turca, costituiscono la maggioranza della popolazione. Una regione strategica questa, a Nord Ovest de Paese, dove la repressione è da decenni più brutale (e più silenziosa) di quella messa in atto in Tibet.
Nella guerra della grande Cina contro la comunità uigura, dunque, c’è spazio anche per l’educazione, o meglio la “rieducazione”. I giovani infatti, secondo Dilxat Raxit, rappresentante del World Uyghur Congress, vengono costretti a lasciare le comunità di origine per completare gli studi e in questo modo per il governo sarebbe più facile intervenire culturalmente sui giovani uiguri, impedendo loro di pregare e negando i diritti alla pratica religiosa. Anche i due ragazzi esplusi recentemente erano dei “fuorisede”, provenienti uno dalla prefettura di Ili, l’altro dalla contea di Shache. Entrambi dello Xinjiang.
“Ogni anno moltissimi studenti in Urumqui vengono espulsi da scuole e università – spiega Raxit – semplicemente perché digiunano durante il mese del Ramadan”. E quando i ragazzi non vengono espulsi, ammende esorbitanti ricadrebbero sulle spalle dei genitori.
Oltre a questo tipo di politiche “educative”, le autorità cinesi stanno mettendo in campo anche, sul lungo periodo, misure di colonizzazione demografica nella patria degli uiguri: nel 1949 nello Xinjiang la popolazione di etnia cinese costituiva appena il 6 per cento della popolazione, ora sono il 40 per cento. Nell’area del capoluogo di Urumqi i cinesi sono arrivati ad essere oggi l’80 per cento del totale.