Mancano poche settimane al termine entro il quale gli statuti degli atenei italiani dovranno essere revisionati, come previsto dalla riforma Gelmini. Dead-line per l’approvazione delle nuove “carte costituzionali” d’ateneo è il 26 luglio: spuntano dunque in questi giorni a macchia di leopardo le bozze dei nuovi statuti, per lo meno in quelle università che non hanno già provveduto a tempo di record, come Ca’ Foscari, dove lo statuto è già ufficiale e operativo da marzo.
Bozze sono state presentate nei giorni scorsi all’Università di Firenze, ma anche a Foggia, a Modena e Reggio Emilia e molti altri istituti in Italia. A sfornare i documenti sono state commissioni preposte, composte in modalità molto diverse – dall’elezione democratica alla nomina – così come differenti sono stati i livelli di trasparenza: bozze e verbali sono pubblici in alcuni casi, riservati agli addetti ai lavori in altri. Ma come cambiano le università italiane? In ballo c’è soprattutto la governance degli atenei, attraverso il ridisegno degli organi decisionali, ma anche la semplificazione e la razionalizzazione delle strutture.
Ovunque si assiste a una riduzione del numero di membri degli organi accademici: l’Università di Foggia passa dagli attuali 38 componenti a 24 mentre in senato accademico e nel consiglio di amministrazione dagli attuali 22 a 10. A Modena e Reggio Emilia il Cda scende da 25 a 11 membri, di cui 8 saranno designati dal senato. Anche a Firenze i membri del cda saranno 11: oltre al rettore ci saranno due rappresentanti degli studenti, cinque membri interni all’ateneo, e tre esterni, che dovranno presentare la propria candidatura secondo appositi avvisi pubblici. In alcuni casi spuntano le quote rosa, come a Bologna dove la bozza diffusa un mese fa prevede che il consiglio non possa essere composto di soli uomini (né di sole donne) e tuttavia non sono mancate le proteste nei confronti di uno statuto che i docenti definiscono “antidemocratico”.
L’altro nodo fondamentale nella stesura degli statuti è relativo invece al numero e alla struttura dei dipartimenti. Se la legge Gelmini fa sparire le facoltà, gli statuti dovranno stabilire i criteri di accorpamento dei dipartimenti, che andranno a ridursi ovunque per amore di semplificazione. A Firenze numero minimo di docenti per formare un dipartimento sarà 50, mentre a Modena e Reggio Emilia la quota scende a 35 (il minimo stabilito dalla riforma).
Ma un punto cruciale> è quello sollevato dal Daniela Venanzi giorni fa sul Sole 24 Ore<: si tratta solo di criteri numerici? oppure si punta a disegnare una nuova architettura dettata dalla qualità e dal merito scientifico? (Questione non trascurabile nell’accorpamento di strutture afferenti ad ambiti disciplinari diversi). Se i nuovi statuti si limiteranno al primo punto, vinceranno la logica della sopravvivenza e il “partito dei presidi”, impegnati a coltivare il proprio “orticello” scegliendosi il vicino di casa meno scomodo. I nuovi dipartimenti insomma potrebbero non essere altro che insiemi di vecchi dipartimenti accorpati secodo logiche di potere e non di merito.