Il problema dell’aumento delle tasse universitarie, dibattutto anche in Italia, è all’ordine del giorno in diversi Paesi. Il governo indiano, ad esempio, ha in programma di aumentare le rette ogni tre anni del 10 per cento, una mossa che potrebbe avere un grosso impatto sull’economia in crisi del sistema accademico indiano. Il sistema attuale prevede una graduazione basata sul reddito e fino ad ora non ci sono mai stati forti aumenti, anche perché è molto forte nel Paese l’opposizione degli studenti e di alcune forze politiche. Stavolta però c’è una differenza rispetto ai tentativi del passato: a proporre un aumento delle rette sono stati i rettori dei più importanti atenei, che hanno denunciato una grave situazione finanziaria del sistema accademico indiano.
Il ministero dell’Istruzione si è subito schierato al fianco dei rettori, precisando che un aumento del 10 per cento non sarebbe troppo gravoso per i bilanci delle famiglie degli studenti, dal momento che si parte da livelli di contribuzione molto bassi. Il dicastero infatti ha rincarato la dose e ha proposto di portare l’aumento fino al 15 per cento. Uno studente indiano paga in media tra i 135 e i 270 dollari all’anno nelle statali e dai 900 ai 2.250 dollari nelle private.
Le principali associazioni degli studenti sono però sul piede di guerra: hanno annunciato che si opporranno con forza a qualsiasi tentativo di aumento: “È dovere del governo di fornire un’istruzione superiore a costi accessibili, soprattutto perché moltissimi studenti provengono da ambienti socio-economici difficili. Il governo indiano sta seguendo ciecamente i paesi occidentali come gli Stati Uniti e il Regno Unito e con le sue politiche renderà elitario il sistema di istruzione”, ha detto Jitender Chaudhary, presidente dell’Unione degli studenti dell’Università di Delhi.
Gli universitari indiani lamentano anche la mancanza di borse di studio, ma Hasnain Syed, ex rettore dell’Università di Hyderabad, ha spiegato che gli studenti in difficoltà economiche potrebbero essere aiutati con borse di studio, ma il provvedimento è necessario. Resta però un dubbio sui conti: secondo i dati ufficiali la domanda per l’istruzione superiore è aumentata enormemente negli ultimi anni, mentre la spesa del governo centrale per il settore è meno dell’1 per cento del prodotto interno lordo. “Non sarà – spiegano gli oppositori – che si vuole far pagare alle famiglie l’investimento che dovrebbe invece mettere in campo il governo?”.