Dalla Turchia alla Cina passando per l’Italia, il passo degli scandali nei test di ammissione universitari, è breve. È proprio il caso di dirlo guardando, ad esempio, alle proteste di questi giorni in Turchia, in cui studenti che si sentono presi in giro, non rispettati e tutelati dalla legge, scendono in piazza contro i brogli nella gestione dell’accesso programmato agli atenei.
Sono 62 le persone arrestate che, in vista degli esami d’ammissione al college iniziati nei giorni scorsi in Cina, avrebbero venduto agli studenti sofisticati apparecchi per copiare, tra cui telefoni cellulari di ridottissime dimensioni da posizionare nelle orecchie e micro-trasmittenti.
La notizia è stata diffusa dalla stampa cinese, secondo la quale sono arrivati a 70 gli arresti di persone che, per sfruttare l’ambito mercato di studenti che hanno svolto il temuto “gaokao”, il test di ammissione nei college del Paese, avrebbero venduto apparecchi molto sofisticati per copiare o scambiare informazioni.
Sono circa 9 milioni i diplomati che questa settimana completeranno i test di ammissione, e non c’è dubbio che alcuni di loro si siano ben riforniti dei dispositivi dei gruppi arrestati, soprattutto chi deve superare il severo numero chiuso.
Più “calda” la situazione in Turchia, dove i sospetti per i test truccati all’università hanno infiammato gli animi degli studenti, che sono scesi in piazza. Quest’anno infatti l’accesso programmato negli atenei pubblici prevede un tetto limite di circa 600 mila studenti, mentre a fare domanda sono stati più del doppio. Si tratta di un test molto competitivo, e secondo una inchiesta di un giornalista locale, era presente nello stesso test un algoritmo nascosto che permetteva a chi ne era a conoscenza di individuare le risposte esatte.
Nel Paese sono previste le elezioni il prossimo 12 giugno, e non manca chi grida alla strumentalizzazione del fatto per manipolare l’opinione pubblica. Puntuale la reazione del primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan che ha mosso accuse pesanti contro il giornalista che sta indagando sull’accaduto, minacciandolo di ripercussioni.