Gli studenti di una delle università più presitgiose della Cina sono andati su tutte le furie quando hanno saputo del nuovo programma di “controllo” che è stato pensato per loro. Uno screening degli studenti per rilevare eventuali correnti di pensiero “radicali” o “estremiste”, che potrebbero dar luogo a movimenti o dissensi come fonte di proteste di larga scala.
Questo il piano della Peking University di Pechino, che spiega, ma sarebbe meglio dire maschera, il suo intento finale con l’interesse per lo status psicologico dei suoi iscritti, con l’obiettivo di intervenire su eventuali stati depressivi o fragilità.
Ad ogni modo, studenti e professori non sono affatto favorevoli alle nuove disposizioni, e accusano le autorità di voler ostacolare la liberà di pensiero, un principio su cui l’università fu fondata nel 1898, come tentativo per il Paese di andare verso una concezione moderna di istruzione.
Tra le reazioni contrarie, si registrano alcune dichiarazioni molto dirette, come quella di Zhang Ming, professore di materie politiche alla Beijing’s Renmin University, che in una intervista al South China Morning Post ha dichiarato: “Tutto questo va in una direzione totalemente opposta alla condotta di un ateneo rispettabile”. Il professore non ha risparmiato paragoni con il passato: “Stiamo tornando ai giorni della Rivoluzione culturale? Questo è terribile e intollerabile”.
La Peking University è infatti da sempre un punto di riferimento per la tutela della libertà di pensiero in Cina, centro nevralgico del movimento anti-imperialista 4 maggio del 1919 e delle proteste di piazza Tiananmen del 1989 che ancora tormentano la leadership cinese.