Qualcosa di buono l’approvazione della riforma dell’università l’ha prodotto. Ha rimesso in movimento quasi tutti gli atenei italiani costringendoli ad adeguarsi alle novità introdotte. In alcuni casi provocando anche la riapertura del dibattito tra le diverse componenti accademiche, come sta avvenendo per la nomina delle commissioni che dovranno approvare i nuovi statuti. Con pochissime ma significative esperienze capaci di dar luogo a soluzioni innovative e condivise. Si pensi a Trieste, dove 12 membri su 15 della commissione statuto sono stati eletti democraticamente.
Peccato però che la maggior parte delle volte questo movimento degli atenei è per così dire “verso il basso”, assumendo talora le sembianze di un pericoloso vortice. Anche perché, tra crisi economica generale e tagli ai finanziamenti, ancor più che le menti si sono messe in moto le forbici. E se è vero, e purtroppo lo è, che tra i Paesi Ocse viaggiamo a fondo classifica quanto a percentuale di finanziamenti in rapporto al Pil, è da temerari affermare che ci sono sprechi da ridurre. Piuttosto spese da razionalizzare.
Per una volta dunque sarebbe il caso di mettere da parte la retorica efficientista del “pubblico sprecone e da ridimensionare”. Anche i numeri presentati nella loro freddezza dall’undicesimo rapporto dell’Anvur restituiscono il quadro di un sistema che si muove su un fondale molto basso. Nel 2009 quasi 1.800.000 iscritti e meno di 300.000 laureati: entrano in sei e ne esce 1. Dove finiscono gli altri? Il 16,7 per cento abbandona, il 13,3 va a ingrossare la categoria degli “immatricolati inattivi“.
Questo sistema stagnante è ora costretto a costruire il proprio futuro su questo fondale melmoso e continuamente corroso da nuovi eventi: i fondi per le borse di studio ridotti del 60%, il mancato rinnovo dei cosiddetti sconti che rischia di provocare il blocco delle assunzioni, 36 atenei praticamente sul lastrico e le rette universitarie che cominciano ad essere livellate verso l’alto. Se questi sono i primi effetti della riforma c’è da essere preoccupati per quello che uscirà dall’approvazione di tutti i provvedimenti attuativi previsti.
L’unica soluzione è quella di reimmettere acqua nello stagno – che vuol dire innanzitutto più risorse a disposizione per università e ricerca e meglio direzionati – e al tempo stesso ossigenarlo, lasciando ampio spazio alla partecipazione di tutte le componenti del mondo accademico, a partire dai giovani, tendenzialmente più propensi a proiettarsi con slancio verso il futuro.
La metafora del pantano è un po’ ottimista, ma condivido l’analisi. Se tutto va bene noi studenti siamo rovinati