Il libretto che riporta dati anagrafici e voti degli esami precedenti finisce sul banco degli imputati. Lo storico simbolo universitario, custode della carriera dorata o mediocre di ogni studente, è diventato tema di discussione da quando recentemente il neoeletto preside della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Genova Giovanni Battista Varnier ne ha regolamentato rigidamente l’utilizzo: “Si ritiene necessario – ha detto – che il libretto cartaceo venga utilizzato solo come documento identificativo ed esibito solo successivamente alla conclusione delle singole prove d’esame al fine di garantire il diritto alla riservatezza e il libero sviluppo della personalità dello studente”.
A Genova, dunque, molti docenti si dovranno privare di una delle più frequenti abitudini e comodità: sfogliare quelle poche pagine per farsi un’idea di chi si ha di fronte. Ma Varnier è non il solo ad aver affrontato l’argomento. Lo scorso autunno la Conferenza dei rettori (Crui) aveva redatto una nota in cui invitava i colleghi docenti a richiedere il famigerato libretto una volta conclusa la prova d’esame e dopo la comunicazione allo studente del voto assegnatogli, “al fine di evitare che il giudizio espresso in sede d’esame venga condizionato dai giudizi espressi in occasione di precedenti prove”.
Gli studenti hanno ovviamente accolto con grande entusiasmo la proposta di Varnier, denunciando come a molti di loro fosse ripetutamente capitato che i docenti si fossero fatti influenzare dai voti precedenti. Anche se, secondo molti ragazzi, i docenti continueranno “a fare di testa loro”. Variegate, invece, le opinioni dei professori. In tutta Italia, infatti, l’avvenimento ha scatenato il dibattito.
Il quotidiano Il Giornale ha addirittura pubblicato due interventi di docenti e collaboratori della testata schierati su fronti diametralmente opposti. Luigi Mascheroni, professore di Teoria e tecnica del giornalismo alla Cattolica di Milano, si trova in pieno accordo con il preside genovese, dopo essere stato scottato in prima persona dal famigerato “effetto libretto”: “Un vizio che mi indispettì fin dal secondo esame – scrive riferendosi all’abitudine di guardare il libretto prima di assegnare il voto – quando, oggi un luminare della psichiatria, indeciso tra un trenta stiracchiato e un ventotto abbondante, adocchiò l’unico voto allora presente sul mio libretto e scelse di confermare senza rischi il voto precedente. E ventinove fu. Incrinando immediatamente la mia media matematica e la mia fiducia sull’imparzialità degli accademici”. Per questo il professor Mascheroni esprime convinto la sua assoluta reticenza nel guardare i libretti prima di assegnare il voto.
Al contrario il suo collega Stefano Zecchi, docente di Estetica alla Statale di Milano, è fautore della “sbirciatina preventiva” e definisce il libretto un aiuto a interrogare il candidato in maniera più corretta: “Osservare come è stato valutato dai colleghi mi aiuta a sbagliare il meno possibile nel giudicarlo. Per esempio, potrebbe capitare che nel momento in cui il ragazzo è di fronte a me mi innervosisca e gli ponga una domanda ingiustamente severa. Se sul libretto ha bei voti comprenderò che a sbagliare sono io”.
Il libretto, croce per gli studenti non proprio brillanti e delizia di chi invece eccelle nei risultati accademici, è un documento valutativo ma non ufficiale: è infatti spesso oggetto di contraffazione da parte dei meno onesti e di vergogna per chi invece non può vantare una buona media. Lo hanno brandito come un’arma i protagonisti della battaglia parlamentare sulla tanto contestata riforma. Lo scorso novembre, durante la protesta universitaria, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha pubblicato il suo encomiabile vecchio libretto su Facebook chiedendo al ministro Gelmini, laureata in Giurisprudenza a Brescia, di fare altrettanto. Il ministro non ha raccolto la provocazione.
Ormai molti atenei si stanno lentamente ma inesorabilmente muovendo verso l’abolizione del cartaceo “taccuino dei voti”. Molte facoltà del Politecnico di Milano l’hanno eliminato da anni e l’Università di Bologna lo sta “rottamando” grazie alle nuove tecnologie: gli studenti iscritti all’anno accademico 2010-11 non lo usano più, con un risparmio per l’ateneo di 390.000 euro all’anno. Al suo posto un’applicazione web per prenotare gli appelli e verbalizzare il voto.