La ricerca di Universita.it sulla relazione tra i social network e gli atenei italiani ha preso le mosse dai dati rilasciati da due ricercatori italiani che hanno oggi all’attivo un paper di ricerca sul tema, oltre a un osservatorio permanente sui media sociali e le università. Abbiamo cosi voluto approfondire i risultati e le considerazioni su questo “rapporto controverso” proprio con Fabio Giglietto (di seguito le sue risposte riportano la sigla FG), ricercatore a tempo determinato presso il dipartimento di Scienze della comunicazione dell’Università di Urbino Carlo Bo, e Alessandro Lovari (di seguito AL), dottore di ricerca e tecnico della comunicazione pubblica presso il dipartimento di Scienze della comunicazione dell’Università di Siena.
Come è nato il progetto di ricerca su atenei italiani e social network?
FG: Il progetto nasce inizialmente come applicazione a un nuovo settore di idee che avevano attratto la mia attenzione nel corso della campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane del 2008. Quando ho iniziato si trattava semplicemente di una classifica di popolarità degli spazi su Facebook degli atenei italiani e solo dopo l’incontro con Alessandro Lovari si è trasformato in un vero e proprio progetto di ricerca culminato con la pubblicazione del working paper “Social Media and Italian Universities: An Empirical Study on the Adoption and Use of Facebook, Twitter and Youtube”. I commenti positivi ricevuti su questo articolo ci hanno spinto a realizzare un osservatorio sulle performance sui social media degli atenei italiani che mettesse in pratica l’indice descritto nell’articolo su dati acquisiti ogni giorno in tempo reale. Un embrione di questo osservatorio è disponibile qui.
Che cosa manca agli atenei italiani per raggiungere i livelli delle università Usa in termini di social media management?
AL: Si tratta di due mondi universitari molto diversi e quindi le differenze non sono squisitamente tecnologiche e comunicative, ma anche culturali: la realtà accademica americana è ad esempio caratterizzata da un forte engagement tra università e studenti. Non dimentichiamoci che negli Stati Uniti assistiamo a forme di vero e proprio marketing degli studenti per essere selezionati dai college più prestigiosi; oppure pensiamo ai legami con gli alumni, ex studenti che in numerosi casi diventano finanziatori degli stessi atenei una volta inseriti nel mercato del lavoro. Il ciclo della relazione università-studenti è perciò più articolato e ricco negli Usa e così i social media si inseriscono perfettamente nelle strategie relazionali degli atenei d’Oltreoceano.
Gli atenei Usa danno più spazio per figure professionali specificamente formate per gestire i social?
AL: Occorre anche rilevare che la professionalità dei social media manager statunitensi è molto elevata e riconosciuta dagli atenei che hanno investito in queste piattaforme sia per attività di recruiting, che di orientamento e comunicazione. In Italia la gestione dei social media è ancora molto “artigianale” e poco strutturata. Le pagine spesso non sono istituzionalizzate nei siti ufficiali universitari: alcuni atenei sembrano timorosi di dimostrare che stanno investendo sui social media come mezzi di comunicazione e relazione con gli studenti. Inoltre non viene indicato chi gestisce questi profili, quale è la mission delle pagine istituzionali e la policy di pubblicazione dei contenuti. Ad esclusione di pochi casi di eccellenza notiamo come l’uso dei social sia prettamente di tipo unidirezionale, senza cercare di attivare un dialogo e una relazione con i diversi pubblici.
Anche i contenuti non sono quasi mai creati ad hoc…
AL: I contenuti poi spesso copiano comunicati stampa e raramente sono realizzati per il Web sociale e arricchiti di immagini e video. Questo è segnale di una scarsa visione strategica: è indubbio che a causa dei pesanti tagli al sistema accademico, soprattutto per le università pubbliche, non si è potuto investire in progetti formativi specifici sui media sociali. Allo stesso tempo però la nostra ricerca mette in evidenza segnali positivi di sviluppo di competenze e di abilità, che avvalorano il ruolo di chi gestisce i social media nelle università italiane.
Che idea vi siete fatti dell’andamento e del progresso delle università avendo iniziato l’analisi nel 2010?
FG: Un numero crescente di atenei si è reso conto di non poter fare a meno di una presenza ufficiale sui social media. Come ho avuto modo di osservare durante la mia prima analisi che prendeva in considerazione gli spazi su Facebook, ufficiali o meno, le conversazioni in rete sugli atenei hanno luogo ugualmente ed indipendentemente dalla presenza di questi spazi. E’ dunque saggio mettere in campo delle strategie atte a monitorare queste conversazioni e influenzarle. Il modo migliore per farlo è aprire dei propri spazi di discussione che offrano agli studenti un servizio innovativo e personalizzato. Nonostante questa generale presa di coscienza non mancano casi di utilizzo amatoriale come quelli di atenei che sono presenti su Facebook con profili personali o con gruppi. Inoltre, come già accennato, nella maggioranza dei casi manca un piano di integrazione di questi spazi nelle strategie di comunicazione dell’ateneo e talvolta gli atenei fanno fatica a comprendere la natura eminentemente bi-direzionale di questi spazi.
I social media possono essere un driver di innovazione per gli atenei?
FG e AL: Gli atenei sono macchine complesse con finalità diverse. A seconda del pubblico di riferimento (studenti, docenti, personale, comunità scientifica, e così via) i social media possono rappresentare una opportunità di innovazione a patto di accettare le logiche di trasparenza che questi spazi impongono. Non si tratta di una sfida facile, ma affrontarla nel modo giusto garantirà un vantaggio competitivo in termini di immagine e di ricaduta sull’organizzazione.
Cosa vogliono gli studenti dai profili social del loro ateneo?
FG e AL: Come abbiamo avuto modo di sperimentare durante l’emergenza neve delle scorse settimane ad Urbino, gli studenti si aspettano da questi spazi risposte personalizzate e rapide. Questa esposizione diretta all’esigenza dei pubblici di riferimento rappresenta un forte incentivo verso nuove forme di organizzazioni più snelle. L’importante è non fare l’errore di pensare questi spazi come un canale comunicativo che può essere gestito con le stesse logiche della comunicazione istituzionale di tipo tradizionale e, nello specifico, usare i social media anche come strumento di ascolto e di raccolta del feedback degli studenti, integrandolo con gli altri strumenti più tradizionali quali l’ufficio per le relazioni con il pubblico e il call center.
la data dell’articolo ?
Senza la data l’articolo non ha senso, quindi è inutile leggerlo !
saluti