La “street parade” romana parte alle 15 di domani, sabato 9 aprile, da piazza della Repubblica. Contemporaneamente tante altre piazze, in Italia e all’estero, saranno invase dai giovani che si sono mobilitati all’insegna dello slogan “Il nostro tempo è adesso“. Associazioni e gruppi di professionisti, studenti e precari si ribellano e chiedono a gran voce che il dibattito politico, continuamente attorcigliato su se stesso, rivolga l’attenzione a una questione che non è semplicemente “generazionale”.
Il ceto politico sta raccontando un’Italia composta da pochi eletti (meglio sarebbe dire “nominati”) mentre tanti “non nominati”, esclusi dal reality del successo a basso costo, fanno i conti con una crisi economica da affrontare senza paracadute. Esclusi tra gli esclusi – probabilmente non a caso – i giovani, quelli dei call center, dei contratti “atipici” e della ricerca universitaria senza tutele, quelli della disoccupazione al 30 per cento, e quelli che studiano in un’università al centro di tagli e mutamenti di cui non si riesce ancora a definire la portata effettiva.
La manifestazione di domani è nata “dal basso”, da una serie di comitati cui si sono aggiunti poi Cgil e gruppi giovanili dei partiti del centrosinistra, e ha attirato l’attenzione di media e opinione pubblica utilizzando soprattutto l’arma dell’ironia. A Roma la sfilata dei diritti negati di stagisti, professionisti sottopagati, studenti senza futuro raggiungerà il Colosseo, negli altri capoluoghi italiani ci saranno performance e dibattiti, a Washington, Bruxelles e in altre capitali mondiali prenderanno la parola i cosiddetti “cervelli in fuga”.
Tutti tengono a sottolineare come il termine “bamboccione” sia ormai un velo autoassolutorio con cui la classe dirigente nasconde innanzitutto a sé stessa che non si tratta di una generazione di viziati. “Abbiamo umiltà da vendere visto che abbiamo fatto mille lavori, spesso anche in nero – spiegano gli organizzatori della mobilitazione -. Vogliamo il diritto alla giusta retribuzione, alla maternità, alla malattia, alle ferie. Abbiamo studiato e crediamo nella formazione. Noi siamo il futuro e vogliamo un welfare che guardi ai giovani».
Essere al loro fianco domani significa contribuire a dar voce alle loro richieste (e questa già sarebbe una prima buona ragione per manifestare). Anche perché le rivendicazioni delle ragazze e dei ragazzi che si troveranno in piazza non riguardano solo il futuro dei singoli, la loro possibilità di mettere in cantiere un figlio senza sentirsi degli incoscienti (che pure è una seconda buona ragione per esserci). In gioco c’è il futuro di una generazione che senza certezze non potrà dare un contributo utile a risollevare le sorti del Paese. E questa terza buona ragione dovrebbe rappresentare un imperativo per i “giovani di tutte le età” ad essere in piazza e ad aprire una riflessione seria su questo tema.