Sempre più numero chiuso: per l’anno accademico 2013-2014 si toccherà quota 57,3 per cento del totale dell’offerta formativa, con un aumento di circa tre punti percentuali rispetto all’a.a. 2012-2013. Oltre ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale, infatti, sempre più spesso gli atenei decidono di porre uno sbarramento agli ingressi anche per altri percorsi di studio.
Non solo Medicina, Odontoiatria, Veterinaria, Architettura/Ingegneria edile-Architettura, Scienze della Formazione primaria e Professioni sanitarie: ormai quasi 6 corsi di laurea su 10 prevedono l’accesso programmato e, quindi, lo svolgimento dei tanto contestati test di ammissione. E ci sono addirittura atenei – come le università di Palermo, Catania, Catanzaro e della Calabria – in cui l’intera offerta formativa di primo livello è a numero chiuso.
A colpire è soprattutto il fatto che l’aumento dei corsi di laurea a numero chiuso si accompagni al vistoso calo delle immatricolazioni e che a porre maggiori limiti alle iscrizioni siano proprio gli atenei del Sud, i più colpiti dall’emorragia di matricole. Mentre negli atenei del Nord nel 2013-2014 i corsi ad accesso programmato a livello nazionale o locale saranno il 40,2 per cento, al Sud ci sarà un test d’ingresso selettivo nel 63 per cento dei corsi di laurea triennale o a ciclo unico.
Come spiegare, dunque, l’aumento dei corsi di laurea a numero chiuso? La programmazione degli accessi, in realtà, offre agli atenei una serie di vantaggi. In primo luogo consente di selezionare gli studenti più preparati e motivati, cosa che si ripercuote favorevolmente sulla produttività. Inoltre, ridurre il numero delle matricole permette di ottimizzare l’uso delle strutture, di migliorare il rapporto tra il numero di docenti e quello degli studenti e di aiutare l’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro.
Ma ciò che più conta è che il numero chiuso fa sì che le università aumentino le proprie entrate. Per sostenere i vari test di ammissione, infatti, i candidati sono chiamati a versare un contributo, che varia a seconda dell’ateneo prescelto e che in media si aggira intorno ai 50 euro. In questo modo le università riescono ad accaparrarsi risorse sufficienti per far fronte ai tagli che da anni affliggono il sistema dell’istruzione terziaria e mandare avanti le attività didattiche. Il rovescio della medaglia è, però, che ogni studente si trova a dover sborsare una somma non trascurabile, specie se si pensa che molti tentano più di un test di ammissione.
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