Quella italiana decisamente non è un’università per giovani. E non solo per i tanti fuori corso rispetto alle cui sorti gli atenei si arrovellano per cercare soluzioni. Anche i docenti in qualche modo si “attardano” sulle cattedre rallentando il ricambio. E allora non ci deve meravigliare se soltanto il 16 per cento dei professori ha meno di quarant’anni e se gli insegnanti italiani sono in media i più anziani d’Europa.
Secondo i dati dell’Osservatorio su ‘Gli italiani, la scienza e le tecnologie digitali’ contenuti nella nuova edizione dell’Annuario Scienza e Società 2011 (ed. Il Mulino), i docenti con più di 50 anni di età nel nostro Paese sono il 55 per cento. Certo, non è la loro età anagrafica a decretarne l’eventuale incapacità, ma a detta degli esperti questo dato ha sicuramente ripercussioni sui risultati della ricerca e sul livello di innovazione del nostro sistema universitario.
Non è una novità che alcuni docenti a fine carriera tendano a perdere la loro spinta al superamento delle frontiere, ma il sistema bloccato produce anche conseguenze su chi anziano non è. “C’è un rischio di scoraggiamento delle nuove generazioni” conferma Massimiano Bucchi, professore di Scienza Tecnologia e Società all’Università di Trento e tra i curatori dell’Annuario.
Il dato sull’aspettativa rispetto alla occupabilità degli scienziati evidenzia proprio come ormai dal mondo accademico non si esige più la possibilità di trovare lavoro. Solo nel 47 per cento dei casi infatti si è convinti che un giovane appassionato di scienza abbia più chance di trovare un lavoro, contro una media europea del 58% e un picco del 73 per cento in Svezia.
D’altro canto in Italia, su 1.000 occupati coloro che svolgono l’attività di ricercatore sono 4, in Finlandia quattro volte di più (16) e nei 27 Paesi Ue una madia di 6,6 occupati in ricerca su mille. E come spesso accade la percentuale italiana vede una prevalenza degli occupati nel Lazio, dove si concentrano le sedi nazionali delle istituzioni di ricerca, con un tasso di ricercatori in enti pubblici di ricerca del 40%. Un altro 20% si concentra in Lombardia e il 40% restante è distribuito in 18 regioni.
Per fortuna l’Annuario su italiani e scienza coglie anche qualche aspetto che fa ben sperare, come i buoni risultati ottenuti dalla ricerca del Belpaese nell’accedere ai fondi stanziati dall’European research council. I 23 progetti finanziati, infatti, collocano l’Italia dopo la Gran Bretagna, che guida la classifica, e dopo Germania e Francia, che seguono a pari merito. Ma guardato in filigrana, anche questo successo ha un suo risvolto negativo: se infatti si sottraggono i finanziamenti ottenuti da ricercatori italiani che lavorano all’estero per istituzioni straniere, l’Italia scende al sesto posto in classifica.